DIRITTO DI INTERNET

I CONTRATTI A DISTANZA ED INTERNET

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>> Ultimo aggiornamento: 12/07/1999 <<

 

I CONTRATTI A DISTANZA ED INTERNET

Una prima analisi della legge   n.185/1999 e dei problemi applicativi che pone

Altri commenti (Valentino Spataro)

Il DECRETO LEGISLATIVO n.185/99, di attuazione della direttiva 97/7/CE, si riferisce alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza; per tal motivo detta una serie di obblighi a carico del fornitore, che agisce nel quadro della sua attività professionale, nella fase anteriore alla conclusione del contratto ( art.3 ), nella fase di formazione del contratto ( art.4 e art.10 sul previo consenso del consumatore in caso di uso di sistemi automatizzati di chiamata da parte del fornitore ) ed infine nella fase di esecuzione (art. 6 e 9 ); mentre afferma esplicitamente all’art.11 l’imperatività dei diritti che il presente decreto riconosce in capo al consumatore essendo nulla ogni pattuizione in contrasto con essi.

All’art.1 si definisce l’oggetto della disciplina in esame:

  • il contratto avente per oggetto beni e servizi;
  • stipulato tra un fornitore e un consumatore (quindi utente non professionale);
  • nell’ambito di un sistema di vendita o di prestazione di servizi a distanza organizzato dal fornitore che , per tale contratto , impiega esclusivamente una o più "tecniche di comunicazione a distanza" fino alla conclusione del contratto e compresa la conclusione del contratto stesso.

Per TECNICA DI COMUNICAZIONE A DISTANZA ( l’allegato I ne fornisce un elenco indicativo e non tassativo ) deve intendersi ogni mezzo che senza la presenza fisica e simultanea del fornitore e del consumatore possa essere impiegato per la conclusione del contratto tra le dette parti. Da ciò, se ne deduce che la presenza fisica anche di uno solo dei contraenti dovrebbe escludere l’applicazione della normativa in esame.

L’art. 2 delimita il campo di applicazione della normativa in esame escludendola, ad esempio, per i contratti conclusi mediante "distributori automatici" o "locali commerciali automatizzati" senza, tuttavia, alcuna definizione della terminologia usata, che potrebbe ingenerare dubbi.

In particolare, attraverso i contratti via Internet potrebbe configurarsi ipotesi di distribuzione automatica?

Molto probabilmente si, almeno nei casi in cui il contratto abbia ad oggetto un bene o servizio che possano essere "distribuiti" in maniera automatica da un qualsiasi software applicativo, come, per esempio, l'acquisto di un software direttamente dalla pagina web del fornitore, con immediato download del programma stesso, senza alcun intervento di "umani", almeno dalla parte del fornitore.

La disciplina in esame non si applica neanche ai contratti conclusi in occasione di una vendita all’asta.

Appare quanto meno singolare la circostanza che l'art. 18 del Dl.Lgs 31.03.1998 n.114 vieti espressamente le aste "telematiche" e che una legge di poco posteriore ammetta esplicitamente l'esclusione delle aste dall'ambito applicativo della presente legge.

Se ne dovrebbe dedurre, dal raffronto delle normative, ivi espressamente compreso l'art. 1, lettera 2) della Legge 11.06.1971 n.426 sul commercio (dove viene definita l'attività di commercio al minuto) e dalla collocazione del divieto (rubrica: Vendita per corrispondenza, televisione, o altri sistemi di comunicazione) che sia vietata la vendita "a mezzo dello strumento dell'asta" di beni propri (cioè del fornitore) mentre dovrebbe rimanere lecita, e per di più esclusa dall'ambito di applicazione della presente legge, l'attività di colui che svolga professionalmente "intermediazione", che - tra l'altro - viene considerata dal Consiglio di Stato non come mediazione, ma come "agenzia d'affari".

Infatti è stato escluso che l’attività delle agenzie di vendita all’asta sia da equiparare all’attività di mediazione di cui alla Legge 20 marzo 1913 n. 272 (Consiglio di Stato 17 gennaio 1984 n. 259, in Foro Italiano, Repertorio 1986, voce Commercio (disciplina del) n. 54).

Per i contratti a distanza non è ovviamente prevista alcuna forma scritta, la quale invece è richiesta per quelle informazioni preliminari indicate all’art.3 comma 1 che, evidenziate dal fornitore prima della conclusione del contratto, devono essere confermate per iscritto o su altro "supporto duraturo" a disposizione del consumatore e a lui accessibile prima o al momento della esecuzione del contratto.

Essendo tale onere per il fornitore precisamente esposto nei termini e nei modi, è logico supporre che costui dovrà fornire tali informazioni assicurandosi che il consumatore le riceva e non semplicemente metterle a sua disposizione.

Come ulteriore conseguenza, con specifico riferimento ad Internet, quindi, sarà necessaria quanto meno una e-mail indirizzata direttamente e specificatamente al "consumatore" e non soltanto la messa a disposizione di tali informazioni in una pagina web.

La violazione degli obblighi suindicati è, contemporaneamente, fonte di responsabilità contrattuale per il fornitore e oggetto di sanzione amministrativa; mentre solo per la violazione dell’obbligo ex art. 3 comma 3 (la mancata comunicazione della evidenza commerciale dell'offerta) è prevista la nullità del contratto ( ma nulla si dice su come si possa provare l’inadempimento del fornitore nel caso specifico).

Pertanto, in questo caso, occorrerà fare riferimento alle normativa generale già esistente, e - di conseguenza - si dovrà fare riferimento al generale principio dell'onere della prova, con tutte le conseguenze del caso.

E' appena il caso di precisare che ben difficilmente potrà essere articolata una prova per testi sul contenuto di una telefonata, mentre - al contrario - la registrazione a scopo cautelativo della telefonata stessa potrebbe facilmente ricadere nell'ambito di applicazione della "famigerata" Legge 675/96, anche perché tale legge non fa alcuna distinzione nel "trattamento di dati" effettuato da "contraente debole" ovvero da "contraente forte".

In conclusione, praticamente tutte le sanzioni comminate dalla legge in esame potrebbero rivelarsi, all'atto pratico, del tutto inutili, per i motivi appena chiariti.

L’art. 5 disciplina l’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore, successivo alla conclusione del contratto, senza penalità né spese per costui se non quelle di restituzione e solo se espressamente previste nel contratto.

Il termine entro il quale il diritto di recesso può essere esercitato è diverso a seconda se il fornitore abbia adempiuto agli obblighi informativi ex art.4:

  1. nel caso positivo è di 10 gg.
  2. nel caso negativo il termine è spostato a 3 mesi ;

          il dies a quo è per i beni dal ricevimento, per i servizi dalla conclusione del contratto.

  1. terza ipotesi è che il fornitore abbia trasmesso le informazioni ex art. 4 dopo la conclusione del contratto ma entro tre mesi dalla conclusione stessa, in questo caso il termine decorre dal momento dalla acquisizione delle notizie e il diritto deve essere esercitato entro 10 gg.

L’art. 5 precisa poi le limitazioni all’esercizio del diritto di recesso, salvo diverso accordo delle parti; le modalità di esercizio; la restituzione del bene.

Questa serie di precisazioni suonano come obblighi per il consumatore che intende avvalersi del diritto di recedere il contratto, in mancanza, infatti, il fornitore non è tenuto alla restituzione delle somme versate dal consumatore (art.5 comma7 ).

Sempre legato al giusto esercizio del diritto è la risoluzione ex lege del contratto di credito concesso al consumatore (art.5 comma 8); con l’obbligo del fornitore di comunicare l’avvenuto recesso del contratto a distanza al terzo concedente il credito e la possibilità per quest’ultimo di ripetere le somme versate al fornitore stesso.

Per quanto concerne tale aspetto peculiare, occorre in questa prima fase ricordare che, di norma, si dovrebbe intendere come "contratto di credito" sia le varie forme di "finanziamento" per l'acquisto di beni e/o servizi, sia la semplice utilizzazione di qualsiasi carta di credito o bancomat.

Pertanto, se non vi sono particolari problemi nel considerare l'annullabilità del contratto di finanziamento, sicuramente sorgono dei problemi nell'utilizzazione delle carte di credito in particolare.

In effetti con la utilizzazione delle carte di credito si conferisce mandato irrevocabile all'istituto emittente ed alla banca di "appoggio" di pagare l'importo indicato al fornitore; pertanto, alla luce del significato letterale di tale disposizione, dovrebbe discendere la conseguenza logico - giuridica della nullità di tale mandato nelle ipotesi di utilizzazione del mezzo di pagamento in relazione all'oggetto della presente legge.

L’esecuzione del contratto ex art. 6 deve avvenire entro 30 gg. che decorrono dal giorno successivo a quello in cui il consumatore ha trasmesso l’ordinazione.

Quindi viene fissato dal legislatore un termine finale per l'esecuzione del contratto da parte del fornitore, anche in questo caso per una generale esigenza di certezza del diritto.

In caso di inadempimento incombe sul fornitore l’obbligo di informazione (circa l'impossibilità di adempiere la propria prestazione) ed il rimborso di somme eventualmente già percepite.

La disposizione prevede poi l’ipotesi di fornitura diversa, per la quale occorre il previo consenso del consumatore, e non di fornitura tardiva, per la quale, conseguentemente, è possibile ipotizzare un accordo delle parti.

In caso di pagamento mediante carta ( art.8 ) è obbligo dell’istituto di emissione della carta di pagamento la restituzione delle somme in caso di uso fraudolento della carta da parte del fornitore o di terzi; è però onere del consumatore dimostrarne l’avvenuto illecito uso.

Si dovrebbe ritenere che tale norma sia stata inserita al fine di tutelare il consumatore nei confronti degli Istituti di Credito in relazione alle possibili truffe e comunque agli usi "non autorizzati" delle carte di credito, proprio perché l'onere della prova rimane in capo al consumatore. Rimane aperto il problema della portata generale della norma ovvero della sua limitazione ai soli contratti ai quali si riferisce la legge in esame.

La legge dà diritto del gestore (istituto di credito) di rivalersi sul fornitore delle somme riaccreditate al consumatore; rimane anche in questo caso aperta la questione del recupero delle spese da parte del "gestore", anche se la soluzione probabilmente dovrebbe essere positiva, in quanto l'"uso fraudolento" deve essere posto in essere o dal fornitore stesso o da un terzo.

E’ fatto divieto di forniture non richieste (art.9 ) se corredate da richiesta di pagamento, in tal caso il consumatore è esonerato da prestazioni corrispettive e comunque è irrilevante il silenzio di costui in caso di mancata risposta.

In definitiva, buoni i principi della legge, ma alcune dimenticanze ed omissionifanno correre il rischio di farla divenire inutile per i consumatori ed eccessivamente farraginosa per i fornitori.

Dott.ssa Stefania Giammaria - Avv. Luca-M. de Grazia